LIBRI, LIBRI IN COLLABORAZIONE

“Un animale selvaggio” di Joel Dicker [La nave di Teseo – editore]

Quanto contano le aspettative personali sul giudizio di un libro?

Il fatto che un romanzo non ci convinca del tutto, può essere la conseguenza di un’aspettativa eccessiva nei confronti di quel libro?

L’attesa, durata magari anche anni, può giocare brutti scherzi in questo senso, vi è mai capitato?

Io credo di essere stata “vittima” di questo brutto tiro rispetto all’ultimo romanzo di Joel Dicker, “Un animale selvaggio“.

Prima di dire la mia però, voglio fare una piccola premessa, rispetto soprattutto ad altre recensioni che ho letto online. Sì, questo romanzo è un po’ diverso dagli altri libri dell’autore, ma non è questo il punto. Almeno per me. Non è il fatto che lui si sia voluto un po’ discostare dalle solite dinamiche ad avermi delusa. Anzi.

Non ho letto tutti i libri di Dicker, ma il mio preferito è “Il libro dei Baltimore” che non è di certo un thriller. Questo per dirvi che la questione non è legata alla tipologia di libro.

Un animale selvaggio” non è un thriller “classico” nel quale accade un omicidio, o qualsiasi altro evento particolare, e per tutto il libro bisogna capire chi sia il colpevole. Si tratta di un romanzo che vuole raccontare la parte animalesca, più intima e ancestrale di ognuno di noi. E lo fa raccontando una rapina e i suoi retroscena. Come genere, possiamo collocarlo meglio nel poliziesco.

Cosa non mi ha convinta di “Un animale selvaggio”?

Ne parliamo subito, ma prima un po’ di contesto, vediamo la trama:

Siamo a Ginevra, nel 2022, ed incontriamo subito i personaggi della storia: Arpad, Sophie, Greg e Karine (quest’ultima può essere considerata un personaggio secondario).

Le due coppie sono molto diverse tra loro. Sophie e Arpad sono belli, ricchi e innamoratissimi: la coppia perfetta. Hanno una casa pazzesca, due angeli come figli e professionalmente sono appagati e occupano ruoli importanti.

Greg e Karine sono invece esausti, fanno entrambi lavori pesanti e logoranti, guadagnano il giusto, la loro casa è un pugno nell’occhio e i bambini litigano continuamente. Sembra che non riescano più a trovare un punto di incontro, hanno ormai perso l’affiatamento di coppia.

L’incontro tra queste due realtà avviene alla festa di compleanno di Arpad, durante la quale Greg rimane molto colpito dalla moglie del festeggiato, tanto da sviluppare una vera e propria ossessione per lei.

Anche Karine non è da meno, Sophie per lei rappresenta tutto quello che vorrebbe essere. Le invidia il lavoro, la casa, la bellezza e la vita intera.

Ma quanto c’è di vero, e quanto invece di costruito, nella vita perfetta della coppia che vive nella “Casa di Vetro“?

L’altra cosa che ci viene presentata fin dalle prime pagine, è una rapina. Una grossa rapina in una gioielleria della città, programmata nei minimi dettagli mesi prima, sulla quale scopriamo man mano qualcosa di più.

Il romanzo è caratterizzato da continui salti temporali che ci svelano con dovizia di dettagli ma anche con molta calma, il passato dei personaggi, e il presente a cui stiamo assistendo. Ci porteranno a scoprire diversi segreti, e le rivelazioni e i colpi di scena si susseguono pagina dopo pagina.


Bene direi che per quanto riguarda la contestualizzazione siamo a posto, non vorrei mai incappare in un dettaglio di troppo che diventi spoiler😅

Ora possiamo parlare delle mie sensazioni rispetto al libro.

Premetto che, come tutti i libri di Dicker, si legge in maniera velocissima. Lo inizi e senza rendertene conto ti ritrovi a pagina duecento. E’ molto scorrevole e i capitoli brevissimi (a volte letteralmente tre pagine) aiutano molto.

E’ anche parecchio accattivante. Dicker sa come mettere curiosità al lettore buttando lì un dettaglio, una piccola rivelazione che stuzzica la sua curiosità e lo spinge ad andare avanti. Perciò è un romanzo di intrattenimento riuscito bene.

Ci sono però diverse cose che non mi hanno convinta, e che una volta girata l’ultima pagina mi hanno lasciata delusa e non completamente soddisfatta.

In primis i personaggi: risultano piatti, poco sfaccettati, non c’è un approfondimento su di loro. Eppure non sono tantissimi, anzi, rispetto ad altri romanzi dell’autore sono davvero pochi gli attori di questa storia.

La questione potrebbe anche essere tralasciata, se non fosse che, come dicevamo all’inizio, Dicker ha voluto un po’ discostarsi dal “solito thriller” puntando, in questo caso, più sulla descrizione dell’animo umano, sul fatto che una persona possa sembrare in un modo ma in realtà nasconda altro. Insomma si è concentrato maggiormente sulle dinamiche umane e relazionali non sviluppandole però al meglio, secondo me. Cosa che, ad esempio, aveva fatto molto bene ne “Il libro dei Baltimore”.

Mi è mancata quella parte empatica, quel coinvolgimento con i personaggi che invece avevo notato negli altri romanzi. E questo non è un dettaglio da poco, anzi forse era proprio quel “qualcosa in più” che i thriller di Dicker hanno (o avevano?) e che li caratterizzava nel panorama letterario di questo genere.

Altra cosa che mi ha delusa sono i dialoghi. In particolare quelli che coinvolgono Arpad e Sophie (ovvero la stragrande maggioranza), mi sono risultati sempre molto costruiti, finti. Nella parte iniziale del romanzo ho imputato questa cosa all’immagine di famiglia perfetta che si vuole dare di loro, ma la sensazione non è scemata quando da metà libro in poi ci sono anche dei litigi e degli scontri tra i due, oppure tra uno di loro e altri personaggi. Anche in questo caso le frasi usate mi sembrano troppo elaborate.

Chi userebbe mai frasi del genere quando è arrabbiato? Nel 2022, poi!

E’ un romanzo avvincente, ma ho avuto la sensazione che tante cose fossero lasciate al caso. Alcuni “cerchi” non vengono chiusi, lasciando il lettore con qualche dubbio di troppo. Voglio essere buona e voglio anche farne passare qualcuna, ma il problema è che sono tanti questi cerchi rimasti aperti. Non posso essere troppo precisa in questo, sempre per il timore di uno spoiler. Posso dire però, giusto come esempio, che ad un certo punto si comprende che il padre di Sophie ha un ruolo nella storia diverso da quello che si immagina all’inizio della lettura. Questo ruolo però non viene spiegato, neanche alla fine, o nell’epilogo.

Ora, detta così può sembrare una cavolata, e ci sarei passata sopra senza problemi, ma questa piccola cosa si somma ad altre piccole cose che non mi sono piaciute e la mia opinione sul libro ne rimane irrimediabilmente compromessa.

Di base la storia è abbastanza intricata, e la struttura della storia con questi salti temporali continui acuisce questa sensazione, ma devo ammettere che sul finale mi aspettavo qualcosa di più forte. Qualcosa che mi facesse davvero saltare dalla sedia, invece leggiamo un epilogo abbastanza tranquillo, nel quale, peraltro, non ho apprezzato per niente il destino scelto per Greg. O meglio, l’ho trovato ingiusto e incoerente.

In definitiva quindi è un libro che si lascia leggere, ma sinceramente, se dovessi consigliare un romanzo di Dicker non sceglierei di certo questo.

Ora non mi resta che decidermi a leggere anche gli altri suoi thriller, ho sentito parlare benissimo de “L’enigma della camera 622“, prima o poi ne sentirete parlare anche me.

Intanto vi chiedo, voi siete fan di Joel Dicker? Avete già recuperato questo suo ultimo romanzo?

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